CHI NON CONOSCE GIACOMO LEOPARDI?



[...] Spirti del secol mio: che, non potendo
felice in terra far persona alcuna,
l’uomo obbliando, a ricercar si diero
una comun felicitade; e quella
trovata agevolmente, essi di molti
tristi e miseri tutti, un popol fanno
lieto e felice: e tal portento, ancora
da pamphlets, da riviste e da gazzette
non dichiarato, il civil gregge ammira [...].

da Palinodia al marchese Gino Capponi




Mi rendo conto, con estrema amarezza, che molti – troppi – non conoscono affatto Giacomo Leopardi. Purtroppo anni e anni di scuola gentiliana, di leggende urbane e di false credenze ci hanno restituito una figura quasi caricaturale. Nell’immaginario collettivo, infatti, domina ancora l’idea di un uomo deforme, complessato, amante rifiutato e deluso, pessimista nell’accezione più superficiale e romantica del termine (se diamo a “romantico” il senso di décadent o patetico). La sua critica sociale è stata completamente rimossa o mai incontrata; la sua profonda, disincantata e tagliente analisi dell’animo umano ridotta a un pessimismo individuale, personale, a tratti sconcio e a tratti meschino (d’altronde un così grossolano errore è stato commesso anche con Saffo) – frutto di una sua incompatibilità psicofisica con il resto del mondo sano e felice –  e, se pur confluente nel ben più apprezzato “pessimismo cosmico” o “universale”, per la maggior parte della middle class italiana – sì, perché bisogna ammetterlo, il “caso Leopardi poeta introverso e asociale” è un problema unicamente italiano – pensa al genio di Recanati come ad un uomo che si rinchiude nel buio isolato e (s)confortante della propria cameretta, lasciando fuori la vita e il prossimo; la sua potente vena lirica confusa con il civettuolo punzecchiarsi di adolescenti innamorati; la sua grandissima speculazione filosofica subordinata ad altri “grandi pessimismi”, quello di Schopenhauer, ad esempio, o non tenuta affatto in considerazione. 
Qualche capitano coraggioso, nel corso del tempo, ha cercato di barcamenarsi in un vespaio di opinioni, cercando di far conoscere ai più il vero Leopardi – in ultimo il film che vede protagonista Elio Germano – senza tuttavia riuscire nell’intento. La lettera scarlatta del mesto e rassegnato omino di provincia, il marchio perenne del piccolo, penoso individuo, che cerca nelle Lettere un rifugio dalla crudele esistenza, si distingue ancora da lontano. Di chi la colpa? (se è giusto cercare colpevoli). Degli insegnanti, sicuramente. Ma anche dei genitori e degli operatori culturali, molti dei quali, segretamente, in fondo in fondo, credono a loro volta alla leggenda del Leopardi sfigato, dell’uomo cui non assomigliare. Ma la colpa è forse anche di tanti poeti, che, per qualche strana ragione, hanno deciso che il buon Giacomo fosse un elemento fuori dal coro (e qui vi è ragione!), scomodo, non classificabile, difficilmente interpretabile con il metro della nostra frenetica e insensata contemporaneità. Perfino un osso duro come Charles Bukowski, in un certo senso, potrebbe essere inquadrabile in qualcosa, forse nel suo essere “contro” o “pro”, Leopardi no. Esiste una soluzione a questo stato di cose? Certamente! Niente di più facile, se solo lo si volesse! Basterebbe leggere le opere di questo straordinario poeta. Leggerle in profondità, senza fermarsi alle apparenze. Leggerle per conoscerlo veramente, senza pregiudizi. Leggere anche quelle poesie che negli anni del liceo ci furono proposte  e presentate come elementari, quasi sciocche composizioni (Il passero solitario, Il sabato del villaggio, La sera del dì di festa, A Silvia) da imparare a memoria, e operando su di esse un’analisi “tecnicistica” (qualcuno ricorda l’inizio del film l’Attimo fuggente?), che le impoveriva, le declassava e le scioglieva da qualsiasi vincolo storico e sociale. Riscoprire Leopardi, Manzoni (altro autore frainteso e bistrattato), Alfieri, Monti, e tanti altri intellettuali, per anni messi al bando, potrebbe arricchirci di poesia, di storia, di cultura, e donarci quell’Infinito e quel mare in cui sarebbe così dolce naufragare.

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