LUCIANO PAGANO SU "E L'ALBA?" DI MARCELLO BUTTAZZO

"L’amore perduto della luce",
su “E L’ALBA?”, di Marcello Buttazzo
di Luciano Pagano

“Ancora oggi/in silenzio/aspetto l’alba” (p. 50)

Fin dalle prime liriche di “E l’alba?” (Manni), è facile scoprire quale ruolo assume, in questi versi di Marcello Buttazzo, questo momento del giorno. Non è tanto l’alba, a essere la protagonista, quanto più quella zona che dal termine della notte conduce al sorgere del sole, al rinnovamento del nuovo giorno, al miracolo di un altro mattino. Tutto ciò, in sostanza, che è “anticipo” dell’alba. È come se i versi di Buttazzo ci invitassero a scoprire, della notte, quel momento in cui non possiamo dire se sono le due, o le tre o le quattro, l’orario dell’insonne che si agita e scopre, proustianamente, che la notte è appena iniziata. Nelle ore che precedono l’alba può accadere tutto, esse sono esattamente agli antipodi delle ore meridiane del solleone; queste ultime riinviano all’allucinazione, le prime — antelucane — al sogno. In questi momenti ci si può muovere a proprio piacimento, per ospitare ricordi e fantasmi, messi sullo stesso piano, nel teatro della mente.
L’alba e il suo preludio oramai privo di suoni, è il luogo dell’attesa. L’autunno è la stagione che più si attaglia a questa indagine, perché nell’autunno iniziano a vedersi, più apprezzabili, i segni della mutazione. La poesia di Marcello Buttazzo è tesa, dopo avere creato questo luogo, all’auscultazione di tutti i suoni, segnali, barlumi che da esso provengono. A questo punto è evidente che uno dei temi più importanti della raccolta è dato dalla presenza della luce, luminosità, lucentezza: molti i punti, questi alcuni tra i più interessanti, “Il cielo/nell’azzurro” (p. 13), “Ti sento/e vedo il tuo corpo/in una divinazione/di stelle bianche” (p. 14), “Oltre la notte lunare/nel mattino aurorale” (p. 23), “[…] la carezza/del primo biancore” (p. 26), “Il cielo/S’abbuia/ma il cuore/d’un amore perso/m’illumina la stanza” (p. 32), “Dondola e dondola/dormi e conta/ad una ad una/le tue stelline” (p. 30). Questi bagliori sono i veri lampi in cui si rischiara l’oggetto della visione, e finalmente ci è dato di scoprire che si tratta dell’Anima, nella sua lucente condizione di esilio dal frastuono mondano.
Marcello Buttazzo ha ottenuto, nel lavoro di lima e nel minimalismo della costruzione del verso, una voce genuinamente lirica, un alfabeto che descrive l’anima e lei soltanto, intercettando come un biologo al microscopio le emozioni e i sentimenti, sul loro nascere. Insieme a questi ci sono le passioni, gli amori, e tutto ciò che è un “fatto dell’anima”, che per Marcello Buttazzo è percettibile fin dai suoi primi cenni, “Io devoto/alla tua grammatica/d’amore” (p. 40). Nei confronti dei fatti del cuore è come se Buttazzo preferisse, appunto, l’asticella del rabdomante al sismografo. Seppure siano identici i referti raccolti da entrambi gli strumenti, la scelta del poeta è tra scienza e coscienza, “Come rabdomante/ho ricercato/le venule più chiare./Nel pozzo del tempo/mi sono riconciliato con il mondo,/con te./Con la mia anima/fragile.” (p. 41); da una parte il mondo, dall’altra l’anima fragile che tutto conosce dei moti del cuore.
Il tratto sotterraneo che unisce i componimenti è il ricordo d’amore, quindi, che accende la “vertigine, rimembranza”. Un amore che ancora oggi accende la memoria dell’Io poetante (“Scaverò/nel primo lucore”, p. 51; “Una donna,/solo una donna/che lumeggiò/l’oscura notte/e in un lampo/accese/quest’amore”, p. 56). L’invocazione a questo perduto amore diviene la clausola di questa raccolta, quasi un saluto e un invito insieme: “Vorrei rivedere/quei due occhi di sole/per farmi rapire,/accecare d’amore” (p. 62). La donna è la luce che con i due occhi di sole rapisce, lumeggia, illumina la notte. A questo punto è lecito dedurre che quella dell’alba diventa una condizione attesa, perché in essa non è più la luce transitoria e improvvisa dell’amore, di cui si necessita per rischiarare, ma quella del sole, della Natura, del Tempo che scorre. Solo l’Alba darà quiete all’Io poetante, perché illuminando il mondo spazzerà via l’oscurità, nella quale, invece, l’unico spiraglio di luce era la donna.
Marcello Buttazzo ha costruito una voce poetica lirica, con risultati rilevanti, e la sua esperienza è racchiusa nella descrizione dei sentimenti, il verso è essenziale, a rime e assonanze si predilige il verso libero, che cerca di raccogliere uno stato d’animo, a partire da un’emozione momentanea, ma nulla, nei versi di Buttazzo, è casuale. Buttazzo non è mai in cerca del ritmo forzato, della chiusura facile, non attende che il verso consegni una morale, assente per altro da questa raccolta. Sta al lettore, infatti, decidere se il mondo raccontato da Marcello Buttazzo è un mondo al quale vogliamo tornare, perché in esso si parla la lingua del cuore, del ricordo della terra: “Il tempo d’un ricordo/una carezza e uno sguardo/sono etica d’amore”. La dimensione del ricordo è presente come luogo della sicurezza e della felicità, di un tempo dell’amore vissuto, che ancora oggi riverbera la sua luce. Il sogno e la visione che spesso ritornano (p. 13, p. 27, p. 31, p. 34, p. 36, p. 54, p. 58, p. 59, p. 65), e ci impongono di scavare dentro di noi, in cerca di un’intimità sanguigna, del proprio cuore ignoto.
I temi del ricordo e degli affetti trascorrono nel tempo, idealmente compiuto tra un autunno, un inverno e una primavera, a sottolineare che c’è anche una differenza di albe e di attese, che conducono la voce poetante fino alla rinascita della natura. Sono molte le eco della poesia contemporanea del nostro paese, oltre a quelle già evidenziate da Vito Antonio Conte, nel testo che introduce il volume, uno su tutti, il Valerio Magrelli di (e non solo) “Nature e venature” (“Queste note nei giorni/sono briciole/per ritrovare il sentiero/lungo il bosco degli anni”, V. Magrelli, Poesie (1980–1992), Einaudi).
La luce dell’anima, il lucore delle stelle e dell’alba, sono avvicinati all’uomo tramite quello che è il secondo colore di questa raccolta, il rosso, nelle sue varianti di ‘rosa venature’, fino al rosso più acceso. Di tutto lo spettro di colori è quello che resta impresso, al lettore e al poeta, “Ciò che fu/giace/nelle anse/d’un arcobaleno oblio/e mi rimanda/solo riflessi/di rosso colore”. Il rosso, riconducibile alla linfa vitale che scorre all’interno dell’uomo, come lo è il verde nelle piante, testimonia una tensione all’unificare l’anima al corpo pulsante, con un comune denominatore di vitalità, atteso come epifania nell’alba: “dammi il cuore rosso sangue”, “tenue sangue”, “La melagrana spaccata/sanguinante di lussuria”, “melagrana rossa d’un caldo/interminabile settembre”, “I tuoi occhi sono boccioli/di rose arrese nel rosaio”, “orizzonti rosei da inseguire”, “chimere rosee”, “corolle di rossa visione”, “un petalo di vermiglia/speranza”, “un bocciolo/di rosa rossa”. Fino a una vera e propria dichiarazione della propria poetica, “È sangue questa vita/di rosa malinconia,/sangue di amore e stelle”.
Poeta vero è colui che riesce a scandagliare fin nei minimi termini il proprio rapporto con il mondo, il rapporto tra i propri sentimenti, le proprie aspirazione e desideri, e ciò che lo circonda. Poeta vero è colui che riesce a descrivere l’amore lirico del proprio Io per il mondo e per le persone, conservando un’assolutezza del proprio dettato, senza sbavature. Una poesia contenuta nella sua precedente raccolta, “E ancora vieni dal mare” (Manni, 2012), concludeva con questi versi “Perché/ogni mattina,/amore,/fai nascere l’alba?”. I versi della raccolta precedente erano come inebriati dal canto della vita, e in essi comparivano molte più immagini ‘esteriori’ che paesaggi/passaggi interiori. L’amore e il canto facevano letteralmente “nascere l’alba”. Quel punto interrogativo posto nel titolo “E l’alba?”, sta lì a interrogarci — ora — in modo molteplice, “è l’alba ciò che aspettavamo?”, e ancora “l’alba, si è concretizzata? È arrivata?” (e con essa la realtà, la rinascita, l’amore del/per il mondo). Sempre nella stessa poesia erano contenuti questi versi “Perché con lacrime,/tempeste e morbida seta/traversi/la viva notte?” (E ancora vieni dal mare, p. 32).
La poesia, nella raccolta precedente di Marcello Buttazzo, era quel lume così fulgido da rischiarare la notte, il mondo, e farci attraversare l’oscurità. Oggi, ne “E l’alba?”, di Marcello Buttazzo la concentrazione lirica è tutta nel fare luce da quella oscurità in cui ci muoviamo, illuminando giusto quel po’ di suolo che ci è davanti, ancora di un passo, una tenue luce per attraversare la notte con la speranza di giungere, indenni, al nuovo giorno.

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