LA CUCINA ARANCIONE di Lorenzo Spurio (TraccePerLaMeta Edizioni): una nota di Adriana Gloria Marigo
Care amiche, cari amici, vi proponiamo una bella nota della poetessa Adriana Gloria Marigo su La cucina arancione di Lorenzo Spurio, TraccePerLaMeta Edizioni, 2013. Buona lettura.
Venticinque
racconti brevi, alcuni brevissimi – in poco più di due pagine tutta la tensione
che corre verso il finale sorprendente nella declinazione del grottesco, del
surreale, dello straniamento, di qualche assonanza da grand-guignol, comunque
sempre sull’ala distesa dell’assurdo – formano La cucina arancione che Lorenzo Spurio, poeta e critico
finissimo, ha dato alle stampe per i
tipi di TraccePerLaMeta nel 2013.
A
partire dal titolo e dalla copertina che ci comunicano - sullo sfondo di una
carta da parati con giglio fiorentino minimale - una distonia, una solitudine
che s’invera negli oggetti come medium tra noi e l’altro, nella gradazione
dell’arancione molto prossima al rosso sanguigno, siamo condotti alla presenza
di una realtà in cui l’accadere - apparentemente normale, ovvio e inevitabile –
è il territorio di presenza psichica afflitta da un segno anomalo, distorto, di
incomunicabilità e conseguente chiusura in se stessi, nel personale
labirinto delle domande, delle risposte
inevase, dell’angoscia.
La cucina,
che di millennio in millennio ha rappresentato il luogo della preparazione e
consumazione dei cibi, dell’incontro affettuoso e progettuale del nucleo
familiare - riferimento che indirettamente segnala che quella centralità ha
avuto vita propria, ora quasi esausta, possibile di nostalgia, sostituita da
un’altra centralità che si svolge tutta fuori, tutta esposta, tutta proiettata
all’incontro, tutta al limine del pericolo – è qui assunta per traslato alla
dignità del luogo per eccellenza in cui si svolgono le elaborazioni psichiche “La cosa più intuitiva da pensare era che si
trattasse di una sorta di esorcismo, ma sporadicamente la ragazza riacquisiva
un minimo di lucidità chiedendo di tacere tutto ai genitori.”, le dinamiche
comportamentali “Decisi di alzarmi dalla
poltrona e di andare in cucina. Percorsi un corridoio lungo e stretto e al
termine entrai. Le pareti erano pitturate di color arancione. Dava un effetto di
oppressione e di ridondanza che per poco non mi misi a vomitare. (…) Ritornai
in camera e mi sdraiai sul letto. Non mi veniva in mente niente a cui
pensare.”, le fughe dalla realtà in rifugi che obnubilano la coscienza e
accompagnano dritti all’estraniazione “Cercai
di ricordare dove abitassi, ma mi risultò difficile. Feci un ultimo tentativo
per cercare di ristabilire chi fossi. Aprii il portafoglio ed estrassi la mia
carta d’identità plastificata, sebbene io l’avessi sempre avuta cartacea, e
vidi che era stata emessa da un paese straniero. Lesi attentamente. Mi chiamavo
Thorbjørn
Stoltenberg. Vivevo a Bergen, in Norvegia. Disperato, entrai in un’agenzia di
viaggio e chiesi che mi prenotassero un volo per ritornare subito a casa.”
Fuori
e dentro la cucina, in piazze pubbliche o reparti ospedalieri, in scuole o
location eleganti per eventi di prestigio, Spurio declina un’umanità che
s’avvita intorno al demone dell’impossibilità ad essere insieme, a consegnare
la parte calda e tenera della relazione affettiva, offrendo ciò che resta in
ombra e degenera in manifestazioni iperboliche, ossessive, compulsive,
depressive, inscrivibili nella psicosi o nella nevrosi.
Per
compiere l’opera i cui protagonisti sono individuati in ogni piano e attività
sociale l’autore impiega la parola precisa
e di facile comprensione, il fraseggio sciolto, il periodare di poche
subordinate immettendo nel testo la sensazione di inappartenenza, di uno iato
tra la vicenda che si racconta e il protagonista, sottolineando in tal modo il
senso di estraneità che vive l’uomo contemporaneo e se qualche follia lo abita
non è cosa rara o impossibile, poiché ovunque esistono segnali e dettagli di
incrinata o alterata relazione con il proprio sé e quello dell’altro.