QUEL CHE ACCADE AL POETA



Al poeta accade tutto, in una volta. Tutto ciò che accade al mondo, accade al poeta. Il poeta sente su se stesso il Bene e il Male del mondo, che è il suo Bene, il suo Male. No, non parliamo di trovate letterarie, magari ad effetto. Parliamo di quel sentire ch’è proprio di chi non vive in un’isola sperduta, ma in un arcipelago in cui le isole sono ben collegate fra di loro. Il poeta non cerca il viaggio solitario, pur se delle volte usa linguaggi criptici, perché egli sa che dove non arriva la capacità speculativa del lettore, arriverà il potere della parola, l’incanto del suo atavico essere, la magia delle sue formule. Cosa c’è di tanto strano? Nessuno conosce veramente cosa si nasconde dietro la bellezza di un mare in tempesta o di una campagna soleggiata, dietro il viso di due ragazzi innamorati o dietro il vento; eppure noi esseri umani ne avvertiamo la bellezza. La avvertiamo anche dove la bellezza non sembra possibile. La percepiamo nelle periferie delle megalopoli, negli sprawls, nelle strade, nelle piazze, nell’umanità che s’aggira confusa nei luoghi più disparati. La sentiamo nell’immensità dell’universo e nella piccola grandezza di un uccello che becca le molliche, nel sorriso di un vecchio o nelle nuvole su in cielo. Certo, non tutto è rose e fiori. Ci mancherebbe altro. C’è il Male. Che non è un’entità astratta contro cui scagliare precetti moralistici. Il Male è quello che fanno gli uomini. Il poeta lo avverte, lo sente dentro, ne scrive. Il poeta non è un alieno, né una persona snob che pensa di appartenere ad una categoria superiore (fatte salve le pur numerose eccezioni, ovvio!). Semplicemente, avverte che il Male non coincide con la non-perfezione. Il Male ha un’unica radice: la violenza. Il poeta lo sa. Ecco perché egli canta gli ultimi, i brutti (ma esisterà davvero la bruttezza?), i contro-corrente, i disadattati, gli emarginati. Tutto ciò che è violenza e fa violenza. Il poeta mette a nudo le cose, i fatti, i sentimenti. Li mette a nudo e li scrive, li incide sulla carta. E dalla carta li scolpisce nelle menti, e dalle menti nei cuori. Sì, abbiamo detto “cuori”. Ce l’abbiamo ancora un cuore, no? E allora chiamiamolo per nome. Diciamo “cuore” cento, mille volte. Non stanchiamoci di usare le parole. La stanchezza – quella spirituale – è compagna della violenza. È dalla stanchezza dell’emozione, dal nostro essere troppo smaliziati, dal nostro cercare nella dietrologia, dalla sensazione che ormai tutto sia già stato; da tutto questo nasce la violenza. È questa, crediamo, l’unica forma di bruttezza esistente al mondo.

Articolo pubblicato sul numero di domenica 30 giugno 2013 de "Il Paese Nuovo": www.ilpaesenuovo.it

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